Nei primi secoli molte comunità cristiane festeggiavano la Pasqua – cioè la resurrezione di Gesù – negli stessi giorni in cui veniva celebrata la Pesach, la cosiddetta “Pasqua ebraica”. Nel Vangelo di Giovanni c’è scritto che la morte di Gesù avvenne il 14 di Nisan (il mese ebraico a cavallo fra marzo e aprile), il giorno in cui gli ebrei celebrano la liberazione dall’Egitto e che si festeggia durante il primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera.
Per rimediare alla sovrapposizione e porre l’accento sulla resurrezione anziché sulla morte di Gesù, nel 325 d.C. si decise nel Concilio di Nicea (la prima assemblea al mondo delle varie comunità cristiane) di festeggiare la Pasqua nella domenica successiva al primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera: in questo modo si sarebbe festeggiata in una data variabile ogni anno – compresa comunque fra il 22 marzo e il 25 aprile – in un periodo vicino ma in un giorno diverso dalla Pasqua ebraica. A volte capita comunque che Pasqua e Pesach si festeggino quasi nello stesso giorno: è il caso del 2015, in cui cadono rispettivamente il 5 e il 4 aprile.
La celebrazione della Pesach (“passaggio”, פסח in ebraico), è prevista dalla stessa Bibbia nel Libro dei Numeri («E il primo mese, il quattordicesimo giorno del mese, sarà la Pasqua del Signore»). Tradizionalmente è il giorno in cui gli ebrei credono che sia avvenuta l’uccisione da parte di Dio di ogni primogenito egiziano durante il periodo di schiavitù degli ebrei in Egitto. Come raccontato nella Bibbia, in quel giorno gli ebrei avrebbero dipinto le porte delle proprie case con del sangue d’agnello per segnalare a Dio che in quella casa non c’erano primogeniti egiziani da uccidere: per questo si celebra il “passare oltre” di Dio nei confronti delle case degli ebrei (e per questo durante la cena si mangia anche una zampa di capretto). Per gli ebrei il Pesach è oggi un’occasione per celebrare la liberazione dalla schiavitù e in generale la resistenza sotto il dominio egiziano. Il momento più importante del Pesach è il seder, la prima delle due cene in cui si celebra il Pesach, fatto di riti e preghiere piuttosto rigide e complicate: fra le altre cose è prevista la lettura dello Haggadah, una raccolta di omelie rabbiniche sulla liberazione di cui esistono diverse edizioni (fra cui una recentissima curata dallo scrittore americano Jonathan Safran Foer). Nei sette giorni successivi al Pesach gli ebrei non possono inoltre mangiare cibi lievitati, in ricordo del fatto che gli ebrei abbandonarono l’Egitto così rapidamente da non poter far lievitare il pane da portare in viaggio.
Così come la Pasqua per i cristiani, negli anni il Pesach è diventata una festività osservata anche dagli ebrei non praticanti (o secolari): circa il 40 per cento degli ebrei secolari americani, per esempio, festeggia il Pesach partecipando al seder.